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PRIMA SQUADRA

Soulè: “Chiamata della Juve incredibile, la scelsi dopo una grigliata. Non era quella che mi dava più soldi, ma…”

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Matias Soulé si è raccontato in un una video intervista concessa alla Gazzetta dello Sport, dall’Argentina, passando per la Juve fino all’exploit col Frosinone. Di seguito le dichiarazioni del talento argentino. “Frosinone? “Mi trovo benissimo, ho la mia famiglia che mi accompagna sempre. E’ un posto tranquillo. A Torino non ero in centro, mi piace la tranquillità“.

Il coro “ha segnato Soulè”? “Emozionante, non me l’aspettavo. Si è sentito anche a Cagliari. E’ bellissimo, spero continuino a cantare perché vorrebbe dire che continuo a segnare“.

Primi anni col calcio: “I miei mi dicevano che, come si dice in Argentina, sono nato con una palla sotto al braccio. Già da piccolo dicevo a papà di portarmi a giocare a calcetto. Avevo 3 anni e mezzo. Lì ho cominciato a giocare, poi sono passato al Kimberley Mar della Plata, il Velez e dopo la Juventus. In Argentina giocavo coi miei amici e quelli di mio fratello che ha 5 anni più di me. Giocavamo nel campo del quartiere, non era bello, di terra. Mettevamo le felpe come pali e giocavamo. Siccome giocavamo tanto, hanno messo le porte di ferro. Tutti i giorni andavamo a giocare. Io avevo gli amici della mia età e mio fratello quelli della sua. Quando andavano a giocare mi chiamavano a giocare e giocavamo con altri che venivano da altri quartieri. Si chiedevano come faceva a giocare un bambino, ma non avevo paura. Vedevano che prendevo palla, facevo dribbling e mi davano già le legnate. Così si impara a giocare senza paura contro più grandi”.

La famiglia: “I miei lavoravano. Mio papà alla posta, 13 e 14 ore al giorno fino al sabato. Mia mamma ha iniziato dopo a lavorare perché servivano soldi. Quando sono andato al Velez loro venivano a vedermi. Mio papà non aveva i soldi, dormiva in macchina e non lo sapevo. Io gli dicevo di non venire se non aveva soldi… Io gli do quel che mi hanno dato. Mia mamma mi accompagnava sempre al pullman per allenarmi. Non ho mai detto che ero stanco e non volevo allenarmi. Io non volevo neanche arrivare in ritardo…Lei mi accompagnava e restava a vedermi, si prendeva il mate con le altre mamme. Se finiva più presto papà ci veniva a prendere. I miei? Vorrebbero far qualcosa perché si annoiano, ma io non voglio fargli fare niente. Fidanzate? No. Sono stato fidanzato 4 anni in Argentina. Adesso se arriva arriva, se no va bene…“.

Vita da calciatore: “Dicono tutti che hai privilegi, ma poi anche cose che ti toglie, tipo uscire con gli amici, fare serata. Questo è il sacrificio da fare per arrivare in alto. Io sono andato via ad 11 anni, ad abitare in convitto. Queste cose ti formano. Se ami il calcio qualsiasi cosa che ti toglie non ti frega niente perché la passione è grande“.

La chiamata della Juve: “E’ stata incredibile. Ero ad una griglia con mio papà e il mio procuratore. Parlavamo di tutto, io stavo per venire in Europa. C’era il mio procuratore che mi dice che c’era questa squadra, questa squadra, la Juve e che dovevo prendere il tempo che volevo, senza fretta, per decidere. Appena mangiato gli dico che avevo deciso: la Juve. Non era quella che mi dava più soldi tra quelle che c’erano. Papà e il procuratore mi dissero che non era facile arrivare in prima squadra perché è un club grandissimo. Io sapevo che non era facile, ma mi piaceva la sfida di poter arrivare nella squadra più grande che potevo scegliere. Prima di venire qua c’è stato un problema col Velez. In una radio che sentiva mio papà parlavano di me e dicevano che Soulé non avrebbe giocato più a calcio e sarebbe rimasto a Mar de Plata ad allenare i delfini… Il Mar de Plata non è come il mare italiano, ma è bello“.

Collaborazioni: Juventus Planet.
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