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Dall’inchiesta “Alto Piemonte” all’isolamento: il silenzio del calcio dopo l’esempio della Juventus

Settembre nero per il calcio italiano: omicidi, violenze e omertà nelle curve. La Juventus, sola, denuncia le infiltrazioni criminali, ma resta isolata.

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Come ripreso da un articolo scritto dal quotidiano Tuttosport, settembre è stato un mese nero per il calcio italiano, un momento in cui la passione per lo sport si è intrecciata con episodi di cronaca inquietanti. A inizio mese, l’omicidio di Antonio Bellocco, uno dei leader della curva interista, ha scosso il mondo degli ultrà. Subito dopo, a Roma, Lina Souloukou, amministratrice delegata dell’AS Roma, e i suoi due figli, di tre e otto anni, sono stati messi sotto scorta per motivi di sicurezza. Infine, a Genova, gli ultrà di Genoa e Sampdoria hanno trasformato la città in un campo di battaglia, scatenando disordini che hanno portato alla decisione di chiudere lo stadio per le partite casalinghe delle squadre liguri e di vietare il settore ospiti nelle trasferte.

Nel giro di un mese, il calcio italiano ha subito tre sconfitte, non sul campo, ma a livello sociale. La situazione è chiara: tutti sanno tutto, tutti conoscono tutti, ma nessuno sembra voler fare davvero qualcosa per fermare la deriva violenta. È una realtà che si trascina da anni, un circolo vizioso che coinvolge le curve degli stadi, spesso lasciate in balia di frange criminali che sfruttano la passione sportiva per i propri fini.

L’isolato esempio della Juventus

Eppure, esistono esempi di società che hanno cercato di rompere il muro dell’omertà che circonda le curve. La Juventus è stata una delle poche squadre a prendere una posizione decisa, denunciando apertamente le infiltrazioni della criminalità organizzata. Nell’ambito dell’inchiesta “Alto Piemonte” sulla ‘Ndrangheta piemontese, il club bianconero ha collaborato con le autorità, pagando però un prezzo alto, anche in termini di sostegno da parte del pubblico. Le denunce hanno portato a un calo dell’affluenza e del calore dello Juventus Stadium, ma hanno dimostrato che è possibile resistere al ricatto della criminalità organizzata.

Tuttavia, l’esempio della Juventus è rimasto isolato. Nessuna altra grande società ha seguito quel coraggioso percorso. Al contrario, in molte realtà calcistiche si preferisce nascondere la polvere sotto il tappeto verde, sperando che il tempo attenui il peso delle polemiche e che gli stadi tornino a riempirsi come prima. Il problema, però, rimane lì, ben visibile a chiunque voglia guardare oltre il velo dell’apparente normalità.

Una responsabilità collettiva

Il problema della violenza e delle infiltrazioni criminali negli stadi non è una questione che riguarda solo il calcio, ma l’intera società. Le curve, spesso considerate un microcosmo separato dal resto del paese, sono in realtà lo specchio di problemi più ampi: illegalità, mancanza di controllo e, soprattutto, una diffusa cultura dell’omertà. Chiudere gli occhi di fronte a questi episodi significa permettere che la situazione degeneri ulteriormente, fino al punto di non ritorno.

L’omicidio di Bellocco, le minacce alla Souloukou e le devastazioni a Genova sono solo la punta dell’iceberg. Questi episodi devono servire come un campanello d’allarme per tutte le istituzioni coinvolte nel mondo del calcio, dalle società sportive alle forze dell’ordine, fino ai tifosi stessi. Il silenzio e l’indifferenza non sono più opzioni praticabili.

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